Scena tratta dal film "66 scenes from America" del regista danese Jorgen Leth, uscito nel 1982. Qui Warhol è alle prese con altri due celebri brand statunitensi: la catena di fast food Burger King e la salsa Heinz.
Domani, 12 novembre 2015, andrà all’asta presso Sotheby’s di New York un famoso frutto: la rielaborazione della mela morsicata della Apple, che Warhol disegnò per Steve Jobs.
La storia di questo quadro nasce da una fortunata coincidenza: nel 1985 Steve Jobs si recò a casa del cantante John Lennon (di cui era fan) per consegnare personalmente a Sean, figlio di Lennon e interessato alla crescita della Apple, un Macintosh.
Fu in questa occasione che Jobs incontrò per la prima volta, nonostante diversi tentativi di contatto mai corrisposti, Andy Warhol. In seguito all’incontro Warhol richiamò Steve Jobs, il quale gli dette disposizioni su come reinterpretare il logo di Apple.
Acquisita da Ronald Fedman nel 1987, l’opera, un acrilico che misura 55,9 cm di lato, verrà battuto da Sotheby’s con prezzo di apertura di 280.000 dollari, mentre si ipotizza un prezzo di chiusura tra i400.000 e i 600.000 dollari.
“Andammo nella stanza da letto di Sean (il figlio di John Lennon) e c’era questo ragazzo che stava attivando un computer Apple che Sean aveva ricevuto in regalo, un modello Macintosh. Raccontai che una volta un uomo mi aveva chiamato varie volte per darmene uno, ma non lo richiamai o qualcosa del genere, e il ragazzo mi guardò e disse: “Sì, ero io. Sono Steve Jobs”. Era così giovane, sembrava uno studente universitario. Mi disse che me ne avrebbe inviato uno e m’insegnò come sfruttarlo per disegnare”. È solo in bianco e nero ma sarà presto disponibile a colori. Mi sono sentito vecchio e fuori di testa con questo giovane genio proprio con colui che ha aiutato a inventare il computer”.
Riflessione di Andy Warhol e quadro "Apple" del 1987, che sarà venduto all'asta di Sothby's (NY) il 12 novembre 2015.
Spogliate dal valore estetico e comunicativo, tutte le opere di Warholpropongono un semplice concetto: il bello degli americani (così come commentato dallo stesso artista) è che mangiano tutti le stesse cose, dal Presidente alle dive di Hollywood, sino alle persone comuni.
Nato a Pittsburgh il 6 agosto 1928, Andrew Warhola Jr. divenne esponente di un’arte all’insegna dell’uguaglianza e del livellamento sociale, che ha incluso in sé, per la prima volta, anche il mondo commerciale delle marche.
Quadro "Campbell's Soup Cans" (1962), conservto al MoMa di New York.
Era il 1962 quando, durante la sua prima mostra a Los Angeles, Warhol espone 32 immagini serigrafiche dei barattoli rossi e bianchi della Campbell Soup Company (conosciuta come Campbell’s), la produttrice statunitense di zuppe in scatola dal 1869.
Quando, anni dopo, chiesero a Warhol perché avesse dipinto le lattine di zuppa Campbell, lui rispose ironicamente: “Sono state il mio pranzo quotidiano, ogni giorno. Per vent’anni”.
Fino ad allora relegate tra gli scaffali dei supermercati e alle immagini della pubblicità, non senza scandalo le latte della polemica si sono fatte strada come rappresentati della cultura di massa. Oggi, il tanto criticato quadro "Campbell's Soup Cans” ha un valore inestimabile e si trova esposto al MoMa di New York.
Per celebrare il 50° anniversario di questo dipinto, nel 2012 la Campbell’s ha realizzato un'edizione speciale di 1.200.000 scatolette di pomodoro concentrato, la cui etichetta è ispirata dai celebri lavori di Andy Warhol. La particolarità del packaging era dovuto alla cromia che utilizza vivaci combinazioni di colori come il blu e il rosso, il giallo e il turchese.
Celebratore per eccellenza dell’“American way of life”, Warhol non poteva essere immune a un altro storico simbolo, massima icona statunitense: la bottiglietta contour della Coca-Cola.
Emblemi della giovinezza e della felicità, packaging e marchio della bevanda sono da decenni muse ispiratrici di artisti provenienti da tutto il mondo. A Warhol si deve però il merito di avervi riconosciuto, prima di molti altri, il fascino di tali immagini per il nuovo modo, tutto americano, di intendere l’arte.
La banana originale donata alla band madre del rock, i Velvet Underground.
Con la stessa visione d’avanguardia disegna, nel 1967, la copertina del primo disco dei Velvet Underground, raffigurante la banana divenuta poi logo del gruppo.
Rispetto alla versione così come ricordata oggi, all’esordio il marchio era uno sticker ben più irriverente che, sollevandosi, mostrava una banana sbucciata color rosa, accompagnata dalla piccola scritta “Peel slow and see” (“sbuccia piano e vedrai”).
Agli inizi del 2012 il frutto più sexy del rock è stato al centro di una battaglia legale molto meno artistica: l’anno precedente, la Andy Warhol Foundation aveva concluso un accordo da due milioni e mezzo di dollari l'anno con Incase (produttrice di custodie, box e borse per Apple) per l'utilizzo di alcune opere dell’artista newyorkese, banana compresa, su alcuni oggetti quali cover per iPhone e iPad.
In risposta, Lou Reed e John Cale, unici musicisti sopravvissuti dei Velvet, presentarono un'istanza presso il tribunale federale di New York contro i diritti di utilizzo del marchio da parte della Fondazione, sostenendo che quella banana fosse divenuta nel tempo un simbolo legato alla band e quindi appartenente, de facto, alla stessa.
Il giudice dette però ragione, almeno in parte, alla Fondazione: il rischio che la banana venisse assimilata al gruppo, sciolto ormai da tempo, venne ritenuto non sussistente. Rimase incerta anche la proprietà del marchio, donato da Warhol ai Velvet ma mai depositato e protetto da copyright.