Molti fan della mela morsicata si saranno chiesti come mai lo smartwatch di Apple avesse perso il prefisso “i” nel proprio nome.
Secondo la logica che la compagnia di Cupertino ha finora utilizzato per definire i nomi dei propri prodotti, assieme ad iPhone, iPod e iPad avremmo dovuto vedere l’iWatch: non c’è quindi da stupirsi se la scelta del nome “Apple Watch” abbia suscitato interesse e curiosità.
Il motivo di tale decisione sta nel nome di un imprenditore italiano, Daniele Di Salvo, che sei anni fa ha depositato in Europa il marchio iWatch, togliendo quindi a Apple la possibilità di chiamare il suo orologio con il prefisso “i”.
L’iWatch di Di Salvo è uno dei prodotti più forti della società Probendi, nata nel 2006 negli Stati Uniti con sede ad Athlone, in Irlanda. “Per noi iWatch nasce da I (“io” in inglese) e watch (“guardare” in inglese) – spiega Di Salvo – ed è un’applicazione compatibile con BlackBerry, Android e iOs della piattaforma più estesa di Critical Governance, che permette di effettuare il gps tracking, inviare tempestivamente dati di posizione, fotografie, video e persino messaggi di sos, consentendo la gestione delle emergenze da dispositivi mobili. Niente a che fare con gli orologi intelligenti”. L’app è utilizzata anche da alcuni dipartimenti di sicurezza, come la polizia di Vercelli, per l’invio di foto e informazioni alla sede centrale tramite smartphone.
Sembra quindi che Apple abbia perso il prefisso “i” per un per un gioco di parole in tempi non sospetti. In ogni caso, l’impossibilità di depositare il marchio nel vecchio continente non deve avere scoraggiato Tim Cook, che ha deciso di registrare iWatch in Paesi extra-europei come Giappone, Messico, Turchia e Russia.
Non ha però intentato una causa legale, come fatto nel 2013 con Amazon per il marchio “App Store”. Di Salvo spiega in questi termini la questione: “Apple conosce bene la legge e sa che sarebbe una causa persa in partenza perché esiste una registrazione in Europa, la numero EU007125347, nella categoria nove (hardware e software), corrispondente a un prodotto preciso che è il nostro iWatch. Si è parlato di cybersquatting, ma innanzitutto un marchio è ben differente da un dominio perché corrisponde a un articolo già esistente e poi quando abbiamo registrato iWatch, il 3 agosto del 2008, non sospettavamo assolutamente la comparsa degli smartwatch”.
Ma la vicenda non è chiusa. Pochi giorni fa, Probendi ha fatto causa ad Apple nel tribunale di Milano con l’accusa di violazione del trademark: benché il colosso statunitense non abbia usato direttamente il nome iWatch, è risultato che quando si cerca questo termine su Google si viene indirizzati verso la pagina di Apple Watch sul sito di Apple.
La conferma arriva da Bloomberg, che spiega come Apple avrebbe utilizzato inserzioni pubblicitarie su Google per dirigere le ricerche di iWatch sul proprio sito. Il motore di ricerca nega la responsabilità di qualsiasi collegamento, mentre Apple fa sapere di non avere mai ricevuto alcuna richiesta di rimozione di simili collegamenti da Probendi.
La causa sarà avviata ufficialmente il prossimo 11 novembre, a meno che Apple e Probendi non giungano ad un compromesso. In ogni caso, non è possibile sapere se l’irlandese riuscirà a fare valere le sue ragioni.