POLITICAL BRANDING / Edizione 2018

Una guerra all’ultimo simbolo

Il 4 Marzo 2018 i cittadini italiani sono chiamati ai seggi ad esprimere le proprie preferenze mettendo un segno sul marchio del partito da cui vorrebbero essere rappresentati alla Camera dei Deputati e in Senato.

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Political branding

Il 4 Marzo 2018 i cittadini italiani sono chiamati ai seggi ad esprimere le proprie preferenze mettendo un segno sul marchio del partito da cui vorrebbero essere rappresentati alla Camera dei Deputati e in Senato.

A gennaio, tutti partiti hanno presentato i propri contrassegni, in totale 103, di cui ne sono stati ammessi 84. Alcuni simboli sono completamente nuovi, altri sono frutto di veri e propri restyling, altri ancora sono ormai dei “classici”.

La storica “Lega Nord”, ad esempio, si aggiorna coerentemente al rinnovamento del programma elettorale e vede scomparire la parola “Nord” dalla denominazione, mentre il simbolo del Movimento Cinque Stelle ha cambiato l’indirizzo del blog (che ora è “blogdellestelle.it”). Ancora, sullo stemma di Fratelli d’Italia non sono più visibili la sigla M.S.I., né alcun riferimento ad Alleanza Nazionale, mentre campeggia il nome di “Giorgia Meloni”.

In questa occasione, Brand Identikit non può esimersi dal proporre alcune considerazioni su come l’elemento marchio, che dovrebbe essere sempre degno di professionali attenzioni, viene trattato (o per meglio dire, adulterato) specialmente in occasioni  di così grande importanza mediatica.

Per iniziare diciamo subito che non vi è, naturalmente, nessuna intenzione di critica sulle opinioni politiche o ideologiche, né viene contemplato se la candidatura è nazionale, regionale o provinciale.  Ci si propone – attraverso valutazioni e considerazioni tecniche – di testimoniare e descrivere alcune delle caratteristiche con cui le “marche politiche” connotano il proprio marchio.

Quando parliamo di marca, non dimentichiamolo, ci riferiamo  a un dispositivo valoriale che rappresenta qualsiasi entità: un prodotto, un servizio, un’insegna, un’azienda ma anche un partito politico, un’associazione, un club, una città e via discorrendo.

Una marca identifica un modo di essere e un insieme di valori condivisi da un target, quindi cosa c’è meglio di un partito politico, cioè un modo di pensare e un insieme di ideali comuni a un gruppo di persone, che possa essere definito marca?
Fondare un partito politico è, peraltro, come costituire un’impresa: è necessario un atto notarile e avere una sede, aprire una partita iva e un conto corrente bancario, definire uno scopo politico (oggetto sociale), creare un nome (ragione sociale) e avere un simbolo (un vero e proprio logo). Quest’ultimo infatti deve rispettare le norme legali del marchio: deve quindi essere distintivo e originale. E, cosa fondamentale, per partecipare alle elezioni (dopo essersi iscritti alla Prefettura e aver raccolto il numero minimo di firme richiesto, che varia rispetto a diversi requisiti) è indispensabile comunicare la propria esistenza in modo sistematico ed efficace, sostanzialmente come accade a un comune prodotto.

Il colpo d’occhio sul panorama dei simboli proposti, almeno dal punto di vista estetico, ha un carattere grottesco e bizzarro. Ciò che infatti si registra è che – nonostante questo sia un ambito dove risulta evidente il valore di un logo – temi come la qualità del design, della tipografia e dello stile di comunicazione visiva vengano totalmente ignorati (se non per una manciata di loro).
Un simbolo politico, dal punto di vista dei contenuti, deve probabilmente essere tecnicamente di tipo “descriptor”, cioè ha il compito di trasmettere un messaggio – relativamente alle idee politiche che vuole trasferire – e non evocare un’emozione, a differenza di quanto deve fare oggi un marchio per una marca moderna.

Ciò che si evidenzia è come alcuni abbiano optato per comunicare l’appartenenza a ideologie partitiche storicamente riconosciute, quindi usando a tale scopo il nome e gli elementi figurativi con dei codici già acquisiti dalla cultura popolare e dall’immaginario collettivo; altri invece, specialmente i nuovi o quelli meno noti, puntano su espressioni visive di forte impatto, sia per le componenti testuali sia per quelle visuali.

Potremmo concludere dicendo che il mondo cambia, ma i simboli della politica restano stantii e trasandati. Senza distinzioni di fede politica, sarebbe un gran passo in avanti verso un traguardo di civiltà e di decoro se alle successive elezioni i simboli avessero una conformazione semiotica più consona allo stile italiano, in una parola, ci piacerebbe che fossero semplicemente più… eleganti.

DI SEGUITO TUTTI I SIMBOLI AMMESSI:

 

Political branding simboli
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