
Calvin Klein, Jaguar-Land Rover, Ralph Lauren e Louis Vuitton: sono solo la punta di un iceberg di oltre mille brand che - secondo Isaac ole Tialolo, membro della celebre tribù dei Masai e presidente della filiale keniana della "Maasai Intellectual Property Trust" - hanno utilizzato le immagini e l'iconografia del suo popolo per scopi commerciali.
Sostenuti dal gruppo di sostegno americano "Light Years LP", questi famosissimi guerrieri africani hanno temporaneamente abbandonato le loro tipiche lance appuntite a favore dei codici internazionali di protezione dei marchi.
Si stima infatti che le royalty reclamate dai Masai per lo sfruttamento del loro nome e, più in generale, della loro cultura e del loro folklore, si aggirino intorno a centinaia di milioni di dollari. Basti pensare che - come dichiarano i sostenitori della tribù - solitamente, per un paio di scarpe o per un'automobile, la licenza per lo sfruttamento di un marchio è riconosciuta attorno al 5% del loro valore di vendita.
E i risultati non si fanno attendere: di recente i Masai hanno siglato il loro primo accordo con la società di distribuzione di abbigliamento britannica "Koy Clothing", che riconoscerà loro delle royalty per utilizzare i tipici motivi grafici che contraddistinguono gli abiti tradizionali della tribù. E ora altri brand, più o meno popolari, sono già nel loro mirino.

Immagine della campagna di Koy Clothing. La giacca è fatta con il tipico tessuto "Kikoy" e prodotta in Kenya. Il 5% del ricavato va a sostegno delle popolazioni locali. (Fonte: www.koyclothing.com)
Tuttavia sarà una strada lunga e tortuosa da percorrere, come dichiara Clare Cornell, specialista in proprietà intellettuale, al Financial Times: "la registrazione del marchio in ogni categoria merceologica e in ogni paese costerà centinaia di migliaia di euro. Se i Masai vogliono evitare che il proprio marchio venga sfruttato, saranno costretti a pagare. E avranno avversari con portafogli molto gonfi".
"Un percorso sicuramente complesso - aggiunge Gaetano Grizzanti, Perito del Tribunale di Milano - ma l'importante è avviare le procedure per proteggere un heritage culturale secolare, gestendo non solo la consapevolezza giuridica ma definendo correttamente una Brand Identity dedicata che certifichi gli elementi connotativi utilizzati a uso commerciale".
Come si dice, "Tutto ha una fine", recita un proverbio Masai. Brand Identikit augura loro il più lieto dei finali per questa vicenda.