Il graphic design è una disciplina in forte rivalutazione, sia dal punto di vista culturale sia da quello professionale. Negli ultimi cinquant’anni le sfide nel mondo della progettazione grafica sono sempre state di vitale importanza per il successo di aziende e prodotti che, grazie alla comunicazione visiva, hanno potuto costruirsi un’identità e una memorabilità nei confronti del pubblico e del mercato. Il graphic design è quindi un vero e proprio tool per il branding, poiché – in alcuni casi – rappresenta un fattore criticoper l’efficacia del sistema d’identità visiva di una marca.
Ma, quando parliamo di graphic design (in italiano “progettazione grafica”), sappiamo esattamente che cosa intende la maggior parte delle persone?
Purtroppo risulta incredibile constatare quanto la grafica possa essere tenuta così poco in considerazione – specialmente in Italia – e quanta approssimazione nozionistica ci sia in proposito, nonostante sia parte integrante della vita sociale ed economica.
Ma c’è una spiegazione. L’idea che il pubblico ha della grafica non è molto corretta o comunque è spesso limitata a un immaginario circoscritto alla sua sola funzione estetica. Ne consegue che, dal punto di vista professionale, l’operato di un grafico viene in qualche modo ritenuto, dal committente, opinabile e soggettivo.
L’eterno dibattito a tale riguardo vede a volte contrapposti gli stessi professionisti. C’è chi analizza il graphic design attraverso gli occhi e la mente di storici e studiosi, valorizzando prevalentemente gli aspetti culturali e accademici; e chi invece lo giudica attraverso gli occhi dell’utente finale, attribuendo al target il compito di valutarne correttezza, pertinenza ed efficacia. Probabilmente, come spesso accade, individuare un equilibrio tra le due prospettive consentirebbe di ottenere progetti migliori sotto diverse chiavi di lettura, anche se probabilmente non metterebbe mai d’accordo le due “fazioni”.
Vi sono diversi modi di “pensare e fare” grafica e diversi punti di vista in merito alla sua conoscenza specifica, dunque tutto diventa ancor più opinabile quando la critica si sposta sul lato superficialmente esteriore, dove il gusto e l’estemporaneità del giudizio individuale mettono fuori gioco un fattore fondamentale, che possiamo definire “cultura di progetto”, grazie al quale solo l’esperienza è di norma in grado di stimare la qualità di un lavoro.
Nella grafica non c’è solo creatività o tecnica professionale, ma anche un valore intellettuale che precede il lavoro: dal disegno di una lettera al layout di una pagina di giornale, dallo studio di un marchio al concept di una microscopica icona, da un manifesto a un sito web, dalla segnaletica di un ufficio all’interfaccia di un software. La grafica è, inoltre, alla base di un mondo interdisciplinare, e copre un ruolo di catalizzatore dell’informazione e di sintetizzatore di messaggi.
L’operato progettuale che sta dietro a ogni progetto di comunicazione visiva non è pertanto frutto di una semplice intuizione estemporanea o di un particolare talento artistico, bensì di un processo metodico riguardante una competenza professionale specialistica, riconosciuta universalmente.
Alcune riprese di “Graphic Design Worlds” in esposizione alla Triennale di Milano dal 26 gennaio al 27 marzo 2011, che illustrano una selezione di grafica internazionale.
Non tanto una mostra “di” grafica ma “sulla” grafica e sulle diverse interpretazioni possibili, sui molteplici percorsi che conducono al graphic design e che da questo si dipartono verso il mondo.
Grafica e branding
Il ruolo del graphic designer non può quindi che essere quello di protagonista anche in un processo di branding e di comunicazione, rivestendo inoltre fondamentale importanza sia in ambito sociale sia in quello del marketing. Basti pensare, per esempio, al logo “I Love New York” (di Milton Glaser) capace, grazie alla sua forza emozionale, di condizionare il linguaggio delle persone poiché è stata coinvolta sia la sfera umana – stimolando la popolazione di una città verso la condivisione di princìpi comuni – sia quella commerciale, fornendo allo Stato di New York prima e alla Città dopo, uno strumento di “business” dalla potenza eccezionale.
Il ruolo e il valore del graphic design sono ineccepibili, se non altro per la sua capacità di rendere tangibile un’idea o un prodotto.
Qual è, quindi, il rapporto che c’è tra la grafica e il mondo del brand? Lo spieghiamo introducendo il concetto di “estetica della marca”, contestualizzando però il senso della parola “estetica” nel mondo del branding, allo scopo di razionalizzare i motivi per cui l’identità visiva ricopre un ruolo spesso discriminante per il successo sul mercato di un prodotto o di un’azienda.
Il termine “estetica” è riconducibile a un settore della filosofia che si occupa della conoscenza e del giudizio del bello (naturale e artistico). Partendo da qui, è interessante scoprire l’etimologia della parola “aesthetica”, che ha origine dai termini greci αἴσθησις (àisthesis) – che significa “sensazione” – e αἰσθάνομαι (aisthànomai), che significa “percepire”. È affascinante rilevare come, dal punto di vista linguistico, le sfere della percezione e delle sensazioni sono insite nel vocabolo “estetica”, dimostrando quanto essa sia parte integrante di un bisogno vitale per l’essere umano: quello di provare emozioni.
Il più importante dei cinque sensi – la vista – risulta fondamentale quando trattiamo di brand identity, in quanto funge da strumento ricettore delle informazioni ottiche per tradurle in sensazioni, come riesce a farlo un quadro o una fotografia. Si evince che un marchio, oltre a funzionare in termini tecnici (connotare, comunicare, rappresentare, farsi memorizzare), debba soprattutto coinvolgere a livello sensoriale, partendo appunto dalla vista per poi giungere alla mente. Un brand ha una dimensione strategica – l’identità valoriale – e una connotativa – l’identità visuale – e, proprio grazie a quest’ultima, una marca rende tangibile la propria esistenza e il proprio essere, facendosi riconoscere dal pubblico. Questo perché una brand identity non solo è funzionale all’atto di mostrarsi e rivelarsi, ma ha anche l’obiettivo di trasmettere delle emozioni e consentire alla marca di presidiare il territorio mentale di un individuo.