«Cancellare il brand è l’ultima cosa che vorrei» ha dichiarato Pier Luigi Foschi, presidente e amministratore delegato di Costa Crociere. Il disastro della nave da crociera Concordia – naufragata all’Isola del Giglio lo scorso 13 gennaio – ha frastornato l’Italia e il mondo intero, non solo per le vittime che ha provocato, ma anche e specialmente a causa delle incredibili circostanze in cui è avvenuto. «Il nostro marchio è stato massacrato. Costa Crociere non fallirà come società, ma potrebbe fallire come marchio», continua Luigi Foschi, in una intervista pubblicata sul quotidiano La Stampa lo scorso 12 febbraio.
Il marchio Costa Crociere, una delle compagnie di navigazione italiane dedicata all'attività crocieristica.
È indiscutibile che, nonostante qui si parli del brand, i veri e unici danni sono per la perdita di vite umane, per le rispettive famiglie e i superstiti. Per tutto questo non esiste alcun risarcimento economico in grado di compensare un tale infausto destino. Per i più scaramantici, col senno di poi, possiamo trovare anche singolari motivazioni legate alla cattiva sorte della Costa Concordia: aveva 13 ponti e 13 bar, l’incidente è avvenuto di venerdì 13, il sinistro ha provocato 17 morti e, per iniziare, in occasione del varo (avvenuto il 2 settembre 2005) la consueta bottiglia di champagne non si ruppe. Ma qui le superstizioni contano poco.
La notizia dell’errore umano, se così vogliamo definirlo, aggravato dall’abbandono della nave da parte del comandante Francesco Schettino, ha letteralmente indignato l’opinione pubblica. Un’azione, quest’ultima, che è stata interpretata come inammissibile e vergognosa, provocando sensazioni sgradevoli, che si sono riversate prima di tutto sul brand e meno sul Gruppo.
Una delle tante immagini prodotte dalla Rete dopo il naufragio all'Isola del Giglio.
Ciò detto può apparire banalmente tautologico, quindi chiariamo meglio questa dinamica. È logico che un inconveniente legato a un’offerta (un prodotto mal funzionante, un servizio sbagliato o un incidente di un mezzo di trasporto) possa minare il giudizio di un’azienda.
La reputazione di una marca però non è assimilabile alla reputazione di una società, in quanto sono due aspetti differenti e autonomi tra loro, nonostante appaia inevitabile che le due entità siano collegate tra loro da una sorta di cordone ombelicale. Se l’infortunio della Concordia fosse avvenuto a causa di un guasto tecnico o di un “semplice” errore umano, il brand (peraltro molto forte: da una ricerca del 2009, svolta dal Reputation Institute, Costa Crociere figurava al quarto posto – dopo Ferrero, Barilla e Armani – per la qualità dei servizi e per la sua affidabilità) avrebbe sicuramente accusato il colpo, ma sarebbe stato in breve tempo assorbito. Come avviene, per esempio, per un incidente aereo o ferroviario. Un prodotto si può rompere, un essere umano – se in buona fede – può anche sbagliare. È in qualche modo accettato dalle persone.
Il fatto invece che quanto accaduto sia stato contaminato da un insieme di fattori disonorevoli, quindi strettamente legati a una sfera profondamente emozionale dell’individuo, si è pregiudicato direttamente la componente etica della marca. Una marca è lo specchio non della forza di un’azienda bensì della sua personalità e dei suoi comportamenti più interiori, che di riflesso s’insidiano inesorabilmente nella mente del consumatore, spesso in modo indelebile e implacabile. Una tragedia, quella della Costa Concordia, che si è coperta di ridicolo, creando quel genere d’imbarazzo capace di far annegare un brand.